sabato 3 luglio 2021

Il bebè nel pancione sente dolore? Le risposte ai dubbi delle mamme

  



La capacità di percepire dolore si sviluppa a metà della gravidanza: diversi centri per le IVG
hanno sviluppato un protocollo che prevede l’anestesia del bambino prima di procedere all’aborto
Perché sentiamo dolore? Perché abbiamo nervi e cervello in ordine per sentirlo. Da quando i nostri nervi e il nostro cervello sono in grado di sentire il dolore? Da quando si sviluppano le connessioni tra i nostri organi e quella parte del cervello che si chiama “talamo” che è proprio lì per percepire il dolore, attività utilissima perché se non sentissimo il dolore non ci andremmo nemmeno a far curare. 

E le connessioni nervose tra i nostri organi e il talamo sono presenti dopo 20 settimane di gravidanza. Questa è ormai un’evidenza scientifica chiara, che non è messa in discussione proprio da nessuno.
Si potrà discutere sul grado di coscienza che il feto a 20 settimane ha del dolore, ma che il dolore arrivi per quella via non lo dubita nessuno. Un gruppo di studiosi inglesi negli anni ‘90 fece anche di più: misurò come aumentano nel sangue di un gruppo di feti di 19-25 settimane di gestazione gli ormoni dello stress dopo uno stimolo doloroso, e videro che questi ormoni – segno di stress e dolore appunto – aumentano come nell’adulto. 

Il fatto che ancora a 20 settimane di gravidanza non sia presente completamente la “corteccia cerebrale” (la cosiddetta “materia grigia” del cervello) non significa che il dolore non si senta, sia perché da quell’epoca inizia a essere presente un suo abbozzo già funzionante, detto “sottoplacca”, sia perché, come dicevamo, bastano le connessioni col talamo per provare il dolore.


Ora il problema del dolore non è un problema che riguarda solo l’aborto, cioè un tema prolife, ma interessa ormai anche la medicina, dato che oggi è finalmente possibile operare in utero i feti, cioè eseguire interventi chirurgici sul bambino ancora nel pancione, e la scienza s’interroga su come non fargli provare dolore.


Sul Journal of Fetal Maternal and Neonatal Medicine del gennaio 2013 ho pubblicato una rassegna sui tipi di farmaci analgesici che si usano sul feto nei centri che eseguono operazioni chirurgiche in utero, e sulla rivista dell’American Association of Pharmaceutical Scientists del settembre 2012 ho pubblicato quelle che sono le evidenze scientifiche in questo campo. 

Ma già altri scienziati come Sunny Anand o Vivette Glover avevano pubblicato trattati sul dolore fetale, che riportavamo anche nel recente libro “Sento dunque sono” (Cantagalli, 2012) in cui i maggiori studiosi mondiali di sensibilità umana rispondevano – ognuno per la propria specialità – a questa domanda: “Quali sensazioni avverte un feto nel pancione?”. Avevamo poi già pubblicato nel 2009 il libro “Suffering, pain, and risk of brain damage in the fetus and newborn” in cui si spiegava il dolore del feto dentro il pancione o del bambino prematuro. 

Ma basta fare un giro su internet per avere tutti i dati della questione, senza farsi scoraggiare da affermazioni del tipo “il feto non sente dolore perché dorme sempre” che sono facilmente contestabili, oppure “tanto i bambini sentono il dolore meno dei grandi”, pregiudizio ancor duro a cadere.

Ovviamente in caso di aborto questo problema deve essere preso in considerazione ed esistono lineeguida in diversi centri che impongono (sembra un paradosso) di anestetizzare il feto se al tempo dell’aborto è così sviluppato da poter provare dolore; certi Stati USA proibiscono proprio l’aborto prendendo come limite il tempo (le 20 settimane di gestazione appunto) da quando il feto sente dolore, per evitare che lo provi.


Quel che è certo è che si deve imparare ad attenersi ai dati della scienza senza voler trascinare la scienza dove vogliamo noi e senza ignorarla. La capacità di percepire dolore si sviluppa dalla metà della gravidanza, ma non è che quando il feto non può percepirlo “valga di meno”; tuttavia il dolore del feto è un ulteriore tassello che ce ne mostra le caratteristiche  umane e un indizio in più per capire quanto rispetto meriti chi ancora non è nato.

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