"Ma quante volte te lo devo dire?". Sono molti i genitori che ripetono questa frase senza sosta.
Non ascoltare o non obbedire è tipico in particolare dei bambini con difficoltà nell'autocontrollo, ma gli esperti sanno bene che questo atteggiamento non deriva dal desiderio di provocare mamma e papà. Nel suo libro "Meno minacce e più gratificazioni" Gianluca Daffi spiega perché urla e punizioni non servono e propone alcune strategie (età 6-11 anni) per promuovere la collaborazione in famiglia.
Le difficoltà del comportamento nei bambini dai 6 agli 11 anni possono essere molte e interessare quattro macro-aree.
Autocontrollo/Impulsività: il bambino non ubbidisce ai comandi, ha reazioni incontrollate o non controlla il proprio comportamento.
Gestione della rabbia: il bambino picchia o ha crisi di rabbia.
Attenzione: il bambino ha la testa tra le nuvole, impiega molto tempo per rispondere alle richieste o non termina mai i compiti assegnati.
Comportamento oppositivo: il bambino rifiuta ogni richiesta proveniente dall'adulto, sfida l'autorità o "risponde male".
Queste caratteristiche possono essere considerate difetti ma, se opportunamente gestiti, possono addirittura trasformarsi in punti di forza: «Ogni nostra caratteristica individuale, anche quella che può apparire più critica, può nascondere un lato positivo - dice Gianluca Daffi - Dietro a un atteggiamento impulsivo può celarsi una grande capacità di problem solving, o un bambino sfidante potrebbe divenire un leader in futuro. Insomma, anche le fragilità possono nascondere dei "super-iper-poteri" come li chiamo nel libro».
Quello che genericamente potremmo definire un atteggiamento "ostinato" è in realtà un aspetto fondamentale della crescita dei nostri figli: «A volte ignorano le richieste degli adulti; a volte non le sentono proprio, immersi come sono nei loro giochi; altre volte vi si oppongono; o ancora, vogliono sempre avere ragione e fare di testa loro». In ognuno di questi casi, possiamo rintracciare due cause:
Sono comportamenti naturali nel loro percorso di autonomia e indipendenza. «È normale che il bambino abbia un punto di vista proprio e voglia fare esperienze diverse da quelle proposte dagli adulti. Lamentarsi di questo vuol dire lamentarsi del fatto che vostro figlio voglia crescere».
Ascoltare va appreso. «I genitori pensano che i bambini sappiano già fare tutto, che siano naturalmente portati ad ascoltare e in possesso dei processi per portare a termine i compiti. La sorpresa e il "dramma" quindi scatta se queste aspettative vengono inspiegabilmente disattese. Però non è così: ascoltare e obbedire sono capacità da sviluppare anche con l'intervento dell'adulto». Castighi e minacce nascono proprio a partire da questo modo distorto di vedere i bambini: «Vi si ricorre quando si è arrabbiati, e la rabbia deriva dall'aspettativa errata - e puntualmente disattesa - che il genitore ha sul figlio: ovvero che sia portato a obbedire senza fare storie».
L'adulto deve intervenire dunque, ma solo in determinati momenti e non con urla e minacce. Perché?
Perché non funzionano. «Le minacce, quando utilizzate con bambini che presentano difficoltà di autocontrollo, non funzionano praticamente mai. O al massimo funziona solo per un breve momento, il tempo di assecondare una singola richiesta, ma poi non vi è alcuna ricaduta positiva a lungo termine e la volta successiva bisogna ricominciare da capo».
Perché sono scollegate dalla regola. Con un urlo o una minaccia si impone al bambino la propria volontà con l'arma della paura. Un metodo che non solo ha le gambe corte - perché già dalla preadolescenza alcune minacce non sortiscono più effetto - ma che in più non insegna il rispetto delle regole. Il motivo per cui un bambino dovrebbe rispettare una regola deve essere connesso alla bontà della regola stessa e non a minacce o ricatti esterni. Ecco perché a minacce o punizioni andrebbero sostituite le conseguenze che dipendono direttamente dall'infrazione della regola (ad esempio se non fa i compiti, va a scuola senza giustifica del genitore e si prenderà una nota).
Perché non rispettano il bambino. Che una minaccia funzioni o meno, Daffi invita a porsi una domanda: «Che tipo di relazione voglio instaurare con mio figlio? Quello del domatore di leoni? Un urlo umilia il bambino e lo spaventa, bloccando anche la sua capacità di comprendere il messaggio che tentate di trasmettergli. Già a fine Ottocento la "Psicologia dell'io" di Alfred Adler constatava come gli adulti tendono a pensare ai bambini come a dei ribelli. La verità è che chiedono la stessa cosa degli adulti: di essere rispettati. Come non andava bene ai tempi la sottomissione degli operai ai padroni e delle donne agli uomini, anche quella dei bambini agli adulti è negativa e mina lo sviluppo dell'autostima».
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