Una norma choc, in vigore da cinque anni, ma che per qualcuno sa di Medio Evo.
In Veneto dopo gli aborti, indipendentemente dalla settimana di gestazione e dalla volontà della donna, è obbligatorio seppellire ogni feto abortito: una legge che mette a dura prova le donne che devono attraversare quest'incubo. Come Martina, 42 anni, madre di due bambine, che al Gazzettino racconta la sua esperienza terribile prima con l'aborto, poi con l'obbligo di seppellire il suo piccolo feto senza vita.
La norma fu approvata poco prima di Natale 2017 su iniziativa dell'assessore Elena Donazzan (ex Forza Italia, ora Fdi). Martina racconta: «A maggio ho saputo di essere incinta per la terza volta. Ma la gravidanza è partita male, ho avuto il Covid, ad ogni minaccia di aborto ho dovuto pagare l'accesso al Pronto soccorso perché venivo considerata un codice bianco. All'undicesima settimana ho saputo che la gestazione era finita già alla settima: non c'era nessun bimbo in arrivo. È stato molto pesante, mi sono sottoposta al raschiamento».
A quel punto Martina si è scontrata con la legge. «Le infermiere mi hanno invitata a firmare il modulo del consenso informato sulla sepoltura del prodotto del concepimento, chiedendomi di barrare una delle due caselle: o provvedevo io attraverso le pompe funebri, o ci pensava l'Ulss 8 Berica. Non volevo mettere nessuna crocetta, perché trovavo assurdo che ci fosse una lapide in cimitero a ricordare un momento tanto doloroso per me, ma mi è stato detto che ero obbligata dalla legge». «Quando ci penso, per me è orribile: mi sento giudicata - spiega la donna, ancora traumatizzata - Oltretutto mi viene riferito che non tutti gli ospedali sono inflessibili come quello di Vicenza, il che significa costringere le donne a peregrinare da una struttura all'altra».
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