Una carrellata di foto delle ferite sul corpicino della neonata ferita dalla madre.
Sono state trovate 80 immagini delle lesioni nel cellulare della donna che spruzzava deodorante addosso alla figlia di 17 mesi, provocandole dolorose ustioni. Vincenzo Sparaco, l'avvocato che insieme Emmanuele Panza, difende la 27enne, italiana, arrestata per maltrattamenti aggravati il 3 febbraio, punta a «una consulenza psichiatrica, affidata a un esperto, per valutare il disagio psichico» della madre.E anche alla richiesta di «un incidente probatorio per discutere davanti a un giudice quelle 80 foto (su 7mila in totale) che sarebbero state scattate per inviarle alla pediatra per individuarne la causa». Insomma, la dimostrazione del pesante disagio psicologico della mamma.
Il Riesame, nei giorni scorsi, aveva respinto la richiesta di scarcerazione della 27enne, che resta a San Vittore perché, si legge nelle motivazioni, c'è un «elevatissimo pericolo» che la possa continuare a fare del male alla figlia, così come non si può «escludere che possa trasferire la propria aggressività su altre persone con le quali venga in contatto».
La difesa aveva invece chiesto «i domiciliari in un luogo di cura, perché sarebbe stata una misura alternativa adeguata, dove sarebbe stata controllata».
Secondo gli agenti della squadra mobile, coordinati dal pm Pasquale Addesso, la donna spruzzava lo spray deodorante a distanza ravvicinata sul corpicino della figlia, causandole escoriazioni e ustioni. Forse, con l'intenzione di tenerla ricoverata il più possibile. La bimba, negli ultimi 6 mesi, era finita in tre ospedali, tra Varese e Pavia, e poi al Policlinico di Milano dove i medici si sono accorti che le lesioni potevano essere causate in famiglia, Da qui, la denuncia. Gli investigatori hanno piazzato delle microcamere, che hanno immortalato gli attimi in cui la donna agiva con lo spray.
La piccola potrebbe aver subito quelle torture «sin dai primi mesi di vita, anche più volte al giorno». I giudici del tribunale dei minori l'hanno tolto ai genitori e ora si trova in comunità protetta. Come da prassi, il tribunale ha avviato la procedura di adottabilità. Un percorso lungo e di solito, dove possibile, si tenta di mantenerne l'affidamento all'interno dell'ambito familiare.
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