Treviso, le toccanti parole rivolte da Giorgio Cuffaro a Leonardo Savian, morto a un mese di distanza dallo schianto in auto durante il rientro della famiglia dal pranzo di Pasqua: «Sei stato "il" mio paziente e un po' figlio» .
«Ce l’ho messa tutta, sai?...». Parole rivolte a un bambino che non c'è più. Parole di un medico, un pediatra, che ha tentato di salvare la vita al piccolo «paziente per caso»: un incidente, persone ferite in strada, tra le auto in coda anche quella del dottore, che, senza perdere tempo porta il proprio aiuto... Era il 9 aprile scorso: a Motta di Livenza, sulla regionale Postumia, Giorgio Cuffaro, pediatra di Pordenone, si prende cura di Leonardo Savian, due anni, ferito alla testa nel frontale tra l'auto guidata dal papà, Marco Savian, e quella di un automobilista di San Donà di 29 anni. Sono le tre del pomeriggio e su Motta piove a dirotto. I Savian tornano a casa dal pranzo pasquale.
L'urto tra le auto è pesantissimo: feriti i due uomini seduti ai posti di guida; quanto a Leonardo, un grave trauma cranico prvoca l'arresto cardiaco. L'intervento di Cuffaro fa ripartire il cuore del bambino, che poi viene ricoverato. Il filo di speranza riannodato dal dottore si spezza definitivamente il 2 maggio scorso, con la morte di Leonardo Savian all'ospedale di Padova.
«Non ho perso un attimo, sai? – scrive il dottore – Quando ho capito che non respiravi e il tuo cuore non batteva, ti ho preso in braccio, messo in sicurezza, valutato rapidamente e iniziato a massaggiare e ventilare senza perdere un istante, come da linee guida. Il tuo papà mi ha detto che erano passati solo pochi secondi dall’incidente. “Che fortuna!”, ho pensato. Ero fiducioso». Giorgio Cuffaro ripercorre quegli attimi ogni giorno, senza darsi pace. «Ce l’ho messa tutta sai? In quel momento eri improvvisamente diventato un mio paziente, anzi, IL mio paziente ed io il tuo pediatra – continua – A dire il vero eri un po’ paziente e un po’ figlio perché coi miei pazienti, in genere, non mi viene da piangere quando mi prendo cura di loro e con te, a tratti, dovevo trattenere le lacrime e concentrarmi su ciò che dovevo fare, perché andava fatto subito e bene, e così è stato».
Cuffaro ha massaggiato e ventilato il bambino ininterrottamente per almeno 15 minuti: «Qualcuno dice 20, poco importa. Non sentivo la fatica, sai? L’ho percepita solo il giorno dopo, quando le mie ginocchia non erano più in grado di fare le scale o altri movimenti banali a ricordarmi, a ogni passo, cosa fosse successo il giorno prima». Il dottore le ha tentate tutte pur di salvare il piccolo e, quando il volto di Leonardo è tornato roseo e il cuore ha ricominciato a battere regolarmente, si è risvegliata la speranza in lui e nel papà Marco Savian, che fino ad allora non aveva mai smesso di stringere la manina del suo bambino.
«Non sai cosa avrei dato per salvarti per davvero e un giorno, magari, sì, poterti abbracciare. O guardarti giocare, correre, saltare, anche solo in silenzio e da lontano – prosegue il pediatra – La mia sola più grande consolazione è aver dato a te e ai tuoi portentosi genitori un po’ di tempo, per parlarti, accarezzarti, coccolarti». Cuffaro non si considera un eroe ma uno che ha «solo fatto il suo dovere». Quanto al perché della lettera, aggiunge: «Ho sentito il bisogno di scrivere e riordinare i pensieri. Mi sembrava il modo più giusto per esprimermi e per rimarcare la necessità che le persone si formino». La firma in calce è un ultimo pensiero rivolto Leonardo: «Il tuo pediatra, Dott. Giorgio».
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