Alessandro Impagnatiello, reo confesso dell'omicidio della compagna Giulia Tramontano, la 29enne incinta di 7 mesi uccisa a Senago, avrebbe girato in auto con il cadavere della donna fino a mercoledì scorso, dopo averlo tenuto nascosto in un box e aver provato a bruciarlo prima con dell'alcol e poi con della benzina.
«Martedì mattina verso le 7, vado in cantina e tiro fuori il corpo trascinandolo verso il box - si legge nel verbale della confessione del 30enne -. Poi porto la macchina nel box e carico il corpo nel bagagliaio. Il corpo di Giulia viene lasciato nella macchina fino alla notte di mercoledì quando decido di gettarlo, intorno alle 02.30 del mercoledì in quel posto che già conoscevo dove poi è stato rinvenuto e che ho comunicato ai carabinieri». Impagnatiello precisa inoltre che «da quando ho messo il corpo di Giulia nel bagagliaio martedi, io ho comunque usato la macchina andandoci in giro con il cadavere nel bagagliaio».
Non è bastato che tra quelle due donne, «maltrattate psicologicamente» da lui allo stesso modo e fino a qualche giorno fa ignare di essere legate allo stesso uomo, si fosse creata una «solidarietà», una «unione», tanto che l'una aveva offerto riparo all'altra. Alessandro Impagnatiello «voleva liberarsi a tutti i costi», secondo i pm, di Giulia Tramontano, la compagna incinta di 7 mesi, e lo ha fatto «accanendosi» anche sul corpo, tentando di bruciarlo due volte. E si è presentato pure a casa dell'altra, che per fortuna non ha aperto la porta. «Sono stato io, l'ho accoltellata due o tre volte», ha confessato la scorsa notte il 30enne, professione barman in un albergo di lusso a Milano, già padre di un bimbo da un'altra relazione, e capace per mesi di mentire a Giulia, 29 anni, con la quale conviveva nella loro casa di Senago, nel Milanese, ma anche all'altra donna, ex collega con cui si frequentava da poco più di un anno.
È stato lui domenica, fingendosi preoccupato, a denunciare la scomparsa di Tramontano, con un lavoro nel settore immobiliare e i genitori che vivono nel Napoletano, arrivati subito quattro giorni fa a Senago per cercare la figlia, assieme a fratello e sorella. L'ultima immagine di una telecamera di sorveglianza l'aveva ripresa sabato verso le 19 mentre rientrava a casa. Lui è «crollato», davanti ai carabinieri del Nucleo investigativo e della Compagnia di Rho e all'aggiunto Letizia Mannella e al pm Alessia Menegazzo, quando gli investigatori gli hanno contestato anche le tracce di sangue trovate sulle scale del condominio fuori dall'appartamento. Oltre a quelle rinvenute in casa, nella sua auto, alle incongruenze della sua versione, alle immagini recuperate, al contenuto di telefoni e dispositivi sequestrati.
L'aveva buttato in un'intercapedine, un buco dietro dei box in un'area non lontana dall'abitazione e aveva cercato di coprirlo con delle cose appoggiate sopra, come del cellophane. Come ricostruito nelle indagini, anche grazie alla testimonianza dell'altra donna, una giovane inglese, verso le 17 di sabato lei e Giulia si erano incontrate per la prima volta in un bar. Da settimane entrambe avevano sospetti su una vita parallela di Impagnatiello. La 23enne inglese, sentita dai pm ai quali ha manifestato «rabbia» contro i comportamenti di lui, ha raccontato che, quando nel pomeriggio di sabato c'è stato quell'incontro chiarificatore, c'è stata una forma di «solidarietà», perché si sono confrontate sui «maltrattamenti», «bugie» comprese, che il 30enne avrebbe messo in atto con entrambe. Tanto che la 23enne disse a Giulia: «Se hai problemi quando torni a casa, vieni a stare da me». Lei tornò a Senago e venne uccisa.
Stando alla confessione e non solo, il compagno l'ha colpita con un coltello da cucina, tra le 19 e le 20.30. Coltello che, secondo la sua versione da verificare in molti aspetti, in un primo tempo avrebbe avuto in mano lei per gesti autolesionisti, essendo sotto choc per ciò che aveva scoperto. Per due volte lui avrebbe tentato di bruciare il corpo. Prima usando dell'alcol nella vasca da bagno, poi con della benzina dentro un box. Col cadavere di lei non ancora nascosto, però, sarebbe uscito e verso le 2 di notte si sarebbe presentato sotto casa dell'altra donna cercando di entrare, ma lei «spaventata» non ha aperto.
La 23enne quella sera mandò un messaggio a Giulia, si preoccupò perché lei non rispose e ad un certo punto sul suo telefono comparve un whatsapp «ti ho mentito, lasciami in pace» che arrivava dal telefono di Tramontano, ma che avrebbe scritto il 30enne, perché lei era già morta. Lui che aveva pure mandato un messaggio sempre da quel telefono a un'amica di Giulia. Un femminicidio, l'ennesimo, «risolto in 72 ore», hanno detto gli investigatori, malgrado i «tentativi di depistaggio». E anche aggravato dalla premeditazione: cinque minuti prima che Tramontano entrasse in casa, lui aveva cercato su Internet «come disfarsi di un cadavere in una vasca da bagno» e «come ripulire macchie di bruciato». Ha detto di aver fatto «tutto da solo» quando ha portato via il corpo, ma si indaga su possibili complici che possano averlo aiutato in qualche fase. «Grazie di averci dato la speranza di trovarla. Grazie di averci creduto ed aiutato. Grazie dal profondo del cuore di una famiglia distrutta», ha scritto la sorella sui social, dopo i numerosi appelli.
«È come se stesse piano piano uscendo da un'allucinazione», ha spiegato l'avvocato Sebastiano Sartori, legale del 30enne che sarà interrogato domani alle 10 a San Vittore dal gip Angela Minerva. I pm hanno chiesto che resti in carcere per omicidio volontario aggravato anche dalla premeditazione, occultamento di cadavere e interruzione di gravidanza senza consenso. E la ministra Eugenia Roccella ha annunciato che nel prossimo Cdm «o al massimo in quello successivo», vi sarà 'il pacchetto di norme al quale come ministero delle Pari Opportunità stiamo lavorando insieme ai ministeri dell'Interno e della Giustizia, per un primo tagliando alle norme anti-violenza«.
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