Nuovi dettagli sul caso dell'omicidio della piccola Diana,la bambina di 18 mesi morta di stenti nella sua culla la scorsa estate,abbandonata in casa da sola dalla madre Alessia Pifferi.
Durante l'udienza in tribunale a Milano che vede la 38enne accusata di omicidio volontario pluriaggravato, è stata ascoltata la testimonianza della vicina di casa, Letizia, che ha raccontato di come la mamma non abbia mai pianto dopo aver visto che la figlia era morta. Mentre il medico che le ha dato conferma della tragedia ricorda come abbia sì versato qualche lacrima, ma che non fosse«straziata».
«Non ha mai pianto Alessia e mi ha chiesto 'ora che mi succede mi arrestano'?». A parlare, nell'aula del processo di primo grado ad Alessia Pifferi, accusata dell'omicidio aggravato della figlia Diana, è la vicina di casa Letizia. Parole che sono state pronunciate quando la donna ha capito che la piccola, abbandonata da sola in casa da più giorni, era morta. La mattina del 20 luglio 2022, giorno del ritrovamento della piccola, «intorno alle ore 10, mi citofona agitata: 'venga, la bambina non respira più' -racconta la vicina di casa -. Siamo salite e siamo entrati nella camera e ho visto la bambina. Era supina, con una magliettina chele copriva fino al pancino, aveva le manine e i piedini scuri,aveva gli occhi chiusi e le palpebre scure e Alessia mi ha chiesto'è morta?'. lo non ho risposto, siamo rimaste li pochi secondi, poi l'ho fatta sedere sul divanetto in sala,spostando le valige (era appena rientrata) e mi ha raccontato che aveva lasciato la bimba con una baby sitter, ma al suo rientro non c'era». Poi la chiamata ai soccorsi.
«Ha chiamato il 118 dicendo la bambina non respira,poi mi ha passato il telefono e io ho detto 'guardi, per la bambina non c'è più niente da fare'. Lei ha chiamato il compagno e gli ha detto 'Diana è morta',lui le ha chiesto come è morta e lei ha risposto 'Ti ho raccontato una bugia, non l'ho lasciata a mia sorella, ma a una baby sitter'» conclude la testimone del processo in corso a Milano. Baby sitter di cui non si ha traccia. Sia agli operatori sanitari che alla vicina di casa, «Pifferi ha detto che era partita giovedì sera, lasciando Diana con una babysitter conosciuta 6 mesi prima. La mattina - ha spiegato una dei paramedici -, tornando a casa e non vedendo l'ora di rivedere la piccola, ha detto di avere trovato la porta e le finestre aperte e nessuno presente nell'appartamento. Diceva Che in settimana c'erano stati diversi contatti con la babysitter, anche videochiamate, ma sul suo telefono non abbiamo trovato nulla. A me aveva detto che si chiamava Giovanna,successivamente Jasmine».
«Quando ho detto alla madre che la sua bambina era morta inizialmente ha pianto, non vorrei sbilanciarmi nel dire che era un pianto molto controllato, non come una madre straziata», dice il medico, con 16 anni di esperienza alle spalle, che ha confermato ad Alessia Pifferi che Diana era morta. «Nei primi minuti poteva apparire anche credibile, ma pochi istanti dopo sono arrivate le forze dell'ordine e la storia di averla affidata a una babysitter» è crollata: «ci sono state molte incertezze, ha detto di aver conosciuta la babysitter mesi prima in un parchetto, di non avere il numero di telefono» di tale Giovanna o Jasmine. «Non avrei pensato a una storia di questo genere, ma i segni di una storia di abbandono li potevo vedere. Non c'erano segni di violenza, la bambina poteva pesare metà del suo peso per la disidratazione, faceva molto caldo, e aveva segni di necrosi», conclude il medico di primo soccorso.
«Continuava a ripetere che era una buona madre,quando ha saputo che stava arrivando la polizia si è iniziata ad agitare, a dire che lei non aveva colpe». Una dei soccorritori del 118 descrive così Alessia Pifferi. La testimone, insieme a un collega, è stata la prima tra il personale medico a vedere la bimba senza vita nella culla. Le manie i piedi registrano, inequivocabilmente, i segni della morte avvenuta da più giorni. La piccola non aveva il pannolino edera stata pulita dalla madre, accanto alla bocca aveva come dei brandelli di un pannolino. «Quando siamo arrivati la donna era tranquilla, diceva che non era una criminale, che era una brava mamma, poi ha iniziato a rendersi conto della situazione quando ha visto i poliziotti, era preoccupata per sé. Non gridava,pensava a se stessa, pensava a se fosse andata in carcere»aggiunge l'altro soccorritore sentito oggi in aula.
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