Il senso di possesso si riassume in una frase: «La mia ragazza deve mostrarsi bellissima sempre e gli altri devono stare lontano».
Come un trofeo da far vedere ma non toccare e men che meno da desiderare. Il senso di possesso si esplica con un comportamento da osservare: «Può fare quello che vuole, pure andare in discoteca con le amiche ma con un vestito lungo». C'è anche chi è più "deciso" e quello che fa venire un brivido lungo la schiena è che a pronunciarlo sia un ragazzo di appena 14 anni: «Non deve andare in giro con le maglie scollate» che sia a scuola o il sabato sera. Non lo dice con livore né alzando il tono della voce. Lo proferisce con la stessa naturalezza che usa nel dire «sto andando a prendere l'autobus».
«Il tuo ragazzo è geloso?», domandiamo poi a una giovane minorenne, lei sorride e risponde di sì. Aggiungiamo: «Come manifesta la sua gelosia?», «Mi chiede come mi sono vestita», «E va bene che lo chieda?», lei non fa passare neanche un secondo, sorride di nuovo, e risponde ancora di sì.
In via Pietro Maffi sono le 14, di fronte all'istituto superiore Vittorio Gassman gli studenti escono dal cancello. Altri sono fuori ad aspettare gli amici. Le lezioni della mattina sono terminate. Questa era la scuola di Roma (quartiere periferico di Primavalle) che la giovane Michelle Causo, 16 anni, frequentava prima di essere uccisa a pugnalate lo scorso 28 giugno da un coetaneo, trascinata poi dentro un carrello della spesa e infine abbandonata vicino a dei cassonetti. «I mostri non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro.
La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento come il controllo, la possessività, il catcalling. Serve un'educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l'amore non è possesso», proferiva Elena Cecchettin con il corpo della sorella Giulia da poco ritrovato. Eppure di fronte a quell'istituto della Capitale e in altri sempre di periferia - mentre in tutta Italia si susseguono flash-mob e sit-it contro la violenza di genere - fra giovani ancora minorenni ma già "grandi" da vivere le prime storie, si mescolano senza differenze le parole rispetto e controllo. Di più, il primo si pretende e non si costruisce reciprocamente attraverso quella cura del bene altrui che dovrebbe spazzar via ogni sete di potere. E si fa finta di essere in regola, di essere "ragazzi a posto" solo perché «il cellulare non glielo controllo di certo però deve stare al suo posto». Non è neanche una giustificazione che viene addotta a contenere una posizione sbagliata. Quella, per alcuni di loro, è la posizione giusta, corretta con una consequenzialità tale per cui come è vero che al mattino segue la sera, io non controllo il cellulare della mia ragazza solo se fa la brava. «La mia fidanzata è mia», aggiunge un altro studente. Molti di loro non solo hanno uno stesso taglio di capelli, medesimo giubbotto, analoghi orecchini ai lobi delle orecchie. Parlano allo stesso modo, pensano come se l'emisfero cerebrale fosse il medesimo.
«Con la mia ragazza abbiamo raggiunto un accordo», «Un accordo? Quale?», «Non andiamo in discoteca perché sennò le danno fastidio e io perdo la pazienza», «non potrebbe essere solo un divertimento per entrambi?», «Facciamo altro», «con amici?», «Meglio da soli». E al controllo segue l'isolamento. Sul marciapiede c'è pure chi racconta il "tunnel" che ha vissuto, da cui poi è uscita e fa male ascoltare quelle parole, da una 17enne: «Si era approfittato della mia condizione per raggirarmi e avere rapporti con lui». Il lui è un ex fidanzato di molti anni più grande. «Si può dire che io fossi consenziente - aggiunge la ragazza - però andando a vedere la vera realtà non ero abbastanza cosciente di quello che facevo, avevo 14 anni. Non ho avuto gentilezza, diciamo così e sarebbe qualcosa che non si deve urlare: nessuno si meraviglia nel vedermi camminare per strada, ho due gambe è chiaro che io possa camminare e così dovrebbe essere per la gentilezza e per tutto il resto. La gentilezza non è una qualità per la quale io possa poi dire "ah sono fortunata perché il mio ragazzo mi permette di uscire".
Quando parlo del mio ragazzo dovrei evidenziare altre qualità, non è normale che venga considerato migliore perché mi lascia uscire con i miei amici ed è contento quando mi vede felice con gli altri». Una sua amica accanto aggiunge: «Si dà per scontato che quella persona sia sua non rendendosi conto che le persone sono separate e che se decidono di stare insieme è un'altra cosa».
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